Nonostante un adeguato controllo del dolore dovrebbe rappresentare uno dei principali obiettivi del veterinario pratico, nell'ottica di migliorare la qualità della vita, la risposta alla terapia e il tempo di sopravvivenza dei propri pazienti, nella pratica veterinaria generale, soprattutto in alcune specie, la terapia antalgica non sempre viene applicata in maniera corretta ed efficace.

Le cause di ridotta applicazione di protocolli analgesici da parte dei veterinari sono da ricondursi alla mancanza di conoscenze approfondite circa la neurofisiologia del dolore, le sue conseguenze cliniche e le caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche delle varie classi di analgesici disponibili, alla paura dei potenziali effetti collaterali propri degli analgesici, ai quali peraltro il paziente potrebbe essere maggiormente soggetto dato lo stato patologico cui si accompagna lo stato algico, al limitato numero di molecole registrate e disponibili come analgesici e, soprattutto, alla difficoltà di riconoscere la presenza di stati algici e di determinarne l'intensità in individui non verbalizzanti.

Allo stato attuale infatti non esiste ancora un sistema universalmente riconosciuto per valutare il dolore negli animali. Varie strategie sono state investigate sia in via sperimentale che nella pratica clinica, nel tentativo di individuare misure oggettive in grado di valutare il dolore acuto e cronico nei cani e nei gatti. Queste includono l’osservazione e la registrazione di risposte fisiologiche, neuroendocrine, metaboliche e locomotorie al dolore. Tali misure però non rappresentano, da sole, degli stretti indicatori di stati algici, in quanto risultano influenzate da molti altri fattori oltre al dolore. Un approccio alternativo/complementare per la valutazione del dolore in tali specie è l’impiego di scale del dolore, in particolare di scale multiparametriche che prendono in considerazione specifiche modificazioni psicomotorie ed espressioni di dolore, nonché gli effetti di interazioni verbali e fisiche tra l’animale e l’osservatore e l’ambiente circostante.

Il limite principale all’effettuazione della terapia del dolore in medicina veterinaria è dunque riconducibile alla mancanza di un metodo diagnostico univoco ed universale in grado di valutare il dolore negli animali, e alle conseguenti difficoltà che si hanno nel riconoscerne e quantificarne la presenza e nel classificarne l’origine (analogamente a quanto avviene in pazienti umani non verbalizzanti, soprattutto quando si tratta di un dolore persistente o neuropatico la cui causa è difficilmente individuabile).

La difficoltà nel riconoscere la presenza di dolore rende talvolta complicata l’effettuazione di una diagnosi patogenetica, e di conseguenza l’applicazione di protocolli terapeutici specifici ed adeguati alla tipologia di dolore presente.

Allo stato attuale, mentre a livello internazionale già esistono delle associazioni che si occupano specificatamente di dolore animale come l’IVAPM - Internationl Veterinary Academy of Pain Management - negli Stati Uniti, e un gruppo di lavoro della IASP - lo “Special Interest Group in Pain Management in Non-Human Species - in Europa, In Italia non erano ancora mai stati creati gruppi di ricerca o associazioni che si occupassero specificatamente dell’argomento, nonostante a vari livelli (sia universitari che non) si inizi a proporre progetti di ricerca su varie tematiche attinenti al dolore, a testimonianza di un aumento della sensibilità e dell’interesse verso tale soggetto.

Sulla base di quanto premesso, presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Perugia è stato istituito il Centro di Ricerca sul Dolore Animale (CeRiDA), con finalità di ricerca e di formazione.

Tale Centro vede coinvolti docenti del Dipartimento di Medicina Veterinaria (essendo il dolore una tematica multidisciplinare si è cercato di coprire tutte le principali aree potenzialmente coinvolte dall’argomento) e di Medicina (date le numerose analogie tra animali e pazienti umani in merito alle problematiche riferibili al riconoscimento del dolore in soggetti non verbalizzanti), nell’ottica di una opportuna e fattiva collaborazione tra i due Dipartimenti.